giovedì 25 settembre 2025

Un anno (a) folle

 La cosa bella degli anni che ho deciso di battezzare come “di passaggio” da una fase che - sempre io - ho deciso che si è conclusa e un’altra che - ancora io - ho deciso che sta per iniziare, hanno il vantaggio di non dover dimostrare nulla. Non includono obiettivi o traguardi definitivi, non determinano nuove traiettorie esistenziali o progetti da implementare, non pretendono di determinare delle svolte deflagranti. Se ne stanno lì come la nottata che deve passare, come un allenamento per la definizione e non per la massa, come quegli orrori non meglio definiti come le diete di mantenimento o l’antipasto a base di cetriolini. Ci sono fasi neutre che procedono senza picchi di entusiasmo e per fortuna pure senza abissi di disagio estremo. Sono gli anni che mi scelgo per dare alla tregua diritto di asilo in un tempo di cui non riesco a cogliere le logiche. I primi nove mesi di quest’anno li ho voluti proprio cosi come ho deciso che andassero. Il programma è  semplice, da applicarsi ogni volta che se ne sente la necessità: parto dall’assunto che senza una routine quotidiana molto rigida io non posso sopravvivere a lungo. Poi mi dico che ad un certo punto è assolutamente necessario che me ne allontani per concedere all’imprevisto e al nuovo di dischiudermi spazi inesplorati di meraviglia. E così parto per un viaggio che mi consenta di rompere ogni mio schema. Il viaggio fa il suo dovere e io posso tornare alle mie rigidità fatte di cose ripetute identiche ogni giorno e con la disciplina di sempre. Durante questo tempo io sostanzialmente sono in una condizione di attesa e pianificazione. Che pare niente e invece è un’attività piuttosto energivora perché mi obbliga a prefigurare scenari che sono ancora del tutto fuori dal mio controllo e dalle mie azioni. Ma tant’è: sempre meglio pensare che certi periodi siano inutili piuttosto che brutti e cattivi. O forse è il contrario, non saprei.


Da gennaio ad oggi il mio tempo pare pieno soltanto di cose “da riempire”. Mai per esempio avrei immaginato di andare per due volte in America e sperimentare una stessa città in modi completamente differenti e neppure che un progetto a cui tenevo si sgretolasse all’improvviso per poi essere rimpiazzato da qualcosa di molto meglio quasi immediatamente.

Da gennaio ad oggi non faccio che buttar via cose e cercare di fare spazio, come se tutto quello che davvero conta fosse soltanto ciò che ancora non c’è ma avesse già il suo posto pronto ad accoglierlo.

Da gennaio ad oggi mi esercito a dimenticare, che pare una cosa impossibile perché come fai a decidere di scordare proprio mentre stai ricordando? E poi ho capito che il dimenticare presuppone l’accogliere e l’accettare. Con queste premesse depotenzi il dolore fino a renderlo così insignificante da dimenticarlo. E a quel punto lo spazio per nuovi “da ricordare” lo hai creato.

Sono già passati nove mesi. In che modo potrei ancora giocare con questa specie di anno jolly in cui posso rimescolare le carte? Tra le mani ho un po’ di giorni di ferie residui, degli ingressi al museo, qualche ottimo film da vedere, ancora un po’ di cose da buttar via, qualche allenamento cardio che tra poco mi manderà al creatore…penso di potermi divertire ancora un po’ girando a vuoto. Se la fortuna mi assiste.

Quando sono tornata a New York per la seconda volta sapevo già cosa avrei fatto e visto. Ho rispettato il calendario in ogni minimo dettaglio, rispettando una scaletta che partiva dalle 6 del mattino fino alle 10 di sera per una settimana. Sono partita senza aver fatto l’assicurazione sanitaria. Un po’ per dispetto e senso di ingiustizia,  un po’ per fatalismo, sapendo che se mi fossi fatta male anche poco l’avrei pagata carissima. E mi ricordo che quando ho affittato la bicicletta per andare a central park non ho messo neppure il caschetto che avevo in dotazione, sempre in ottemperanza al principio che avrei adottato tutta la mia attenzione e cautela. Il resto lo pretendo dalla buona sorte. Mi è andata bene e prometto di non ripetere l’esperienza in questi termini. Però il concetto era questo: permettere al mio anno di transizione di accompagnarmi verso tutto quello che mi sto preparando ad affrontare, che non sarà solo passiva sottomissione agli eventi, ma una gestione attiva, con i muscoli tonici e un atteggiamento lucido verso quello che vorrei attrarre. Per questo bisogna ricaricare le batterie, farsi trovare pronti. E “pretendere” che la fortuna faccia poi tutto il resto.

martedì 2 settembre 2025

Nel frattempo




 E alla fine pure quest’estate ci saluta assieme al suo carico di retorica da nuovi inizi, di buoni propositi, di ripartenze, di rivoluzioni esistenziali delle quali settembre si assumerà poi tutta la responsabilità prima di cederla ad un qualunque gennaio degli anni a venire. Io ho smesso di cadere in certe trappole da ormai tanto tempo e precisamente da quando ho deciso che le cose che contano nella mia vita non dovranno mai risentire della periodizzazione limitata per realizzarsi e che dovranno invece far parte di me e del mio quotidiano senza interruzioni, senza cedimenti. Portare avanti delle intenzioni finchè la forza e la fiducia in esse me lo consentiranno. E così se mai dovessi decidere di cominciare cose nuove accadrà soltanto assieme alla certezza di poterle portare avanti con la stessa costanza e disciplina con cui faccio tutto il resto.

Mentre l’estate procedeva senza portarmi in nessuno degli infiniti altrove che avrei potuto occupare per sfuggire ad un caldo che per fortuna non è mai stato insopportabile, ho preparato la valigia per tornare in un posto che ho voglia di vedere meglio.  
Nel frattempo è anche successo che:
·   *  ho compiuto 49 anni. Ho fatto una carezza ad ognuno di loro. Non ne darei indietro neanche mezzo
·    * sono riuscita a non tagliare i capelli e vorrei riuscirci fino ai 50
·    *  sono stata in perfetto silenzio per giorni, per poi pensare che non capisco cosa spaventi dello star soli con se stessi anche per periodi indefiniti di tempo
·     *  ho buttato vestiti che mi piacevano molto solo per esercitarmi a lasciar andare senza rimpianti anche le cose a cui tengo di più
·    *  ho smesso di mangiare il pesce. Con la carne è successo almeno dieci anni fa senza che neppure me ne accorgessi. Con i crostacei sto ancora cercando di elaborare il mio lutto gastrico
·    *   ho razionalizzato il numero dei miei abbonamenti streaming trovando l’esperienza più dolorosa e complessa di quanto pensassi. Le serie a cui ti affezioni sono dei pezzi di vita che allargano la tua
·     *  sono andata a letto prestissimo. Più o meno dopo i primi cinque minuti di un qualsiasi dibattito preserale sulla questione israelo-palestinese. Credo che sia la sola cosa possibile per evitare di vedere e sentire delle assurdità
·    *   E’ stata un’estate milanese mite che mi ha visto trottare tutta feliciona e baldanzosa per musei e cinema senza mai desiderare di essere altrove neppure nel giorno di ferragosto
·     Ora che sono rientrati tutti posso finalmente cercare spazio altrove senza rimpianti
Il futuro non è scritto ma ognuno se lo immagina. Il mio non so quando sia ufficialmente cominciato. Con gli inizi non ho familiarità. Io so soltanto continuare. E solo a modo mio  

martedì 19 agosto 2025

E tu cosa usi per le superfici?

 

Con lui non ti puoi distrarre. E’ subdolo perché lavora in silenzio, fa ostruzionismo anche quando non ti ricordi che  ci condividi elementi delicati di spazio comune. Eppure poche cose restituiscono il conto della noncuranza distratta come quella specie di fantasma immateriale che vince proprio nell’istante in cui si manifesta. Il calcare fa così, ti illude di non essere un problema fino a quando non lo vedi e farai più fatica a liberartene, ammesso di riuscirci.
Tantissimi anni fa, durante una trasmissione radiofonica che trattava temi di cuore (uh, quanto ero giovane per dedicarmi ancora a certe cose) il conduttore ad un certo punto paragonava la qualità dei rapporti al tipo di cura che si riserva al calcare: puoi impedire che ostruisca il libero flusso dell’acqua di cui esso stesso è composto solo quando ancora non ci sono insidie, quando pulisci le impurità giorno dopo giorno con la stessa ossessione di chi adotta precauzioni contro pericoli che preferisce scongiurare piuttosto che affrontare. Per me la doccia con i buchini ostruiti è un grande classico a cui non sono mai sfuggita, così come il lavabo pulito ma opaco, le goccioline random sul vetro della doccia. Tutte le volte lo stesso senso di sconfitta per una battaglia che dimentico ogni volta di combattere.
E’ così che pare funzionino pure i rapporti: ad un certo punto perdono luce e quel piano inizialmente scintillante e levigato su cui scivolava un quotidiano che si confrontava soltanto con superfici lisce e intonse ad un tratto mostra il suo lato opaco, degli attriti prima inesistenti, aloni di incomprensione (solo apparentemente) provenienti dal nulla e del tutto inattesi. È così che pare prendano il sopravvento il soave esercizio di volontaria incoscienza degli abissi oscuri dell’incomprensione reciproca, il lavoro subdolo, tacito e apparentemente invisibile di una disattenzione, di un vivere di rendita con la luce abbagliante di legami che implorano una cura speciale proprio quando funzionano meglio.
Non l’ho mai scordato quel bel paragone in frequenze medie di un sacco di anni fa, quando ancora non vivevo per conto mio e manco mi ero mai posta il problema, poi diventato mia principale ossessione domestica, di combattere il calcare con ogni arma chimica o naturale possibile. Confesso che a volte l’ho lasciato fare, ormai forte dei miei strumenti potenti per combatterlo, per poi poter vivere la gloria del rinnovato splendore proprio quando tutto sembrava perduto: si diventa meno intransigenti quando si è sicuri dei propri metodi di soluzione. Chissà se nel frattempo hanno inventato prodotti altrettanto portentosi e dai rapidi risultati pure per far brillare le relazioni opache o almeno preservarle dall’appannamento futuro. E se sì, quanto costano? E chi le compra? E quanto durano?


lunedì 11 agosto 2025

Le cose che avrei voluto sapere di sapere già

 


Ci sono cose che avrei voluto sapere molto prima. Ma proprio prima prima. Tipo dopo il diploma, prima dei vent’anni, prima degli occhioni lucidi e quell’espressione da Labrador lasciato ad aspettare fuori dal supermercato, quando le aspettative e la fiducia negli altri avevano trovato parcheggio in zona vietata. Per chi come me si ritrova spesso a ripensare ai propri traumi giovanili e ancora prova ad elaborarli è veramente consolatorio darsi dei consigli postumi per demolire almeno un poco la portata di quell’inutile fardello che ancora ci si porta dentro come una scatola degli orrori che batte ancora colpi dall’interno. Che poi non che mi sia mai successo chissà che eppure a volte lo sento prepotente il senso frustrante di una consapevolezza troppo tardiva.

Ripenso alla paura che avevo di certi prof di liceo che rivisti dopo il diploma mi hanno restituito il senso della loro piccolezza e dell’infimo cinismo di un ruolo non ben gestito. Avrei voluto sapere per tempo che la scelta del proprio futuro non va assolutamente delegata a nessuno e se al momento non si sa cosa fare va bene anche darsi un tempo di riflessione di cui non dover rendere conto a nessuno. Avrei voluto sapere per tempo che essere innamorati è bello ma che sarebbe stato infinitamente meglio non esserlo mai e che troppo tempo, pensieri e concentrazione ho riservato a cose che sono passate senza lasciare alcuna traccia. È brutto dirlo ma io lo volevo sapere prima che per l’amore non ho mai avuto alcuna attitudine e ostinarmi a pensarla diversamente credo mi abbia fatto fare tali e tante sciocchezze che mi chiedo cosa mi sia persa di bello e di buono se avessi pensato ad altro. 

Che poi in realtà le cose che avrei voluto sapere prima sono che:

Il salmone, se non è quello selvaggio, non fa bene manco per idea

Che anche dopo due anni di yoga la sola posizione che mi piace è lo savasana. E basta

Sorridere e cercare di compiacere continuamente gli altri si rivelerà essere una fatica titanica, dissociante, frustrante e alla fine completamente inutile. Chi ti vuole bene lo fa a prescindere da quanto ti spertichi oppure no

Viaggiare da sola non ha paragoni con niente al mondo. Tutte le volte che avrai provato in altri modi a volte è andata benino, altre meno, altre ma proprio no. Il viaggio vero è da sola, con tutti gli imprevisti e l’assoluta libertà di un’esperienza folle e unica

Lynch un giorno mi avrebbe completamente cambiato la percezione delle cose. Si trattava solo di farmelo spiegare come si deve. Perché se non te lo spiegano ti illudi soltanto di averlo capito

Avrei venduto tutto l’oro dalla prima comunione ad oggi. Che bello non avere roba che hai sempre paura che ti venga derubata e che ad un certo punto ha raggiunto quotazioni altissime

Avrei pianto per tre giorni di seguito per qualcuno e poi mai più per nessuno. Mai più 

Non mi sarei mai pentita di non aver mai voluto dei figli, pure se mi hanno sempre detto che prima o poi sarebbe successo. Non è successo. Perché se davvero i figli non li vuoi, allora non li vorrai mai. Mai

Un buon cappuccino e un’ora di cammino risolvono. Non so come. Ma ci riescono 


In fondo non sono tante le cose che avrei voluto sapere prima. Eppure ho come l’impressione che una diversa tempistica nella consapevolezza avrebbe fatto tutta la differenza nella mia vita. E adesso?





lunedì 4 agosto 2025

Perché guardarmi se io non ti sento?


 Quando decido di fare stories su fb o su wa c’è solo un motivo: sapere chi e perché si prende la briga di andare a vedere i fatti miei. Perché pure quando succede di capitarci giusto per caso magari mentre stava sbirciando altro, di fatto, se mi ritrovo sempre le stesse persone a passare da me alla fine sono interessate a sapere proprio i fatti miei. Non lo dico io, lo dice la statistica, le visualizzazioni, la pervicacia delle solite presenze sul mio profilo. E non temo di essere smentita. Lo considero in verità pure un fatto bello perché quando le persone che passano mi vogliono bene mi ricordano che le connessioni sono fatte di materiale variabile, sono frammentarie,  discontinue e che pure pensarsi per pochi secondi è un modo per tenersi assieme e vicini, sapere che condividiamo lo stesso cielo e che possiamo persino dircelo guardandoci per un attimo durante le 24 ore senza “sfruculiarci” a parole in ogni momento.

Quello che invece mi pare meno ovvio è il perché mi tengano d’occhio pure le persone (di solito colleghə) con cui manco mi saluto quando ci incrociamo dal vivo. Mi chiedo perché decidano di dover sapere quando e quanto mi sono allenata, quanto faccio la cianciosa con un vestitino nuovo, come mi piace far vedere angoli belli della mia mansarda…cioè tutte cose che non dovrebbero riguardare proprio mai chi non mi considera. Di loro io so giusto il fatto che non mi amano, che non hanno mai avuto parole buone per me, che alcune leggono pure il mio blog e lo portano in giro per diffondere odio per dire quanto sono meritevole dell’inferno…

Mi stimola questa curiosità morbosa, il pedinamento capriccioso giusto per sapere per tempo se e quando fallirò , o quando finalmente sarò meno in forma (almeno di loro), quando mi capiterà una disgrazia su cui fregarsi le mani e dire “finalmente ha avuto quel che merita”. A me certe forme gratuite di cattiveria dietro le quinte divertono sempre parecchio perché mi raccontano molto della vigliaccheria che spesso si nasconde dietro certe forme meschine di odio e di mancanza di pace interiore. Ha a che fare con il livore immotivato verso chi non corrisponde alla nostra personalissima visione del mondo e non avendo alcun diritto di farcelo sapere ci augura il male per vie traverse, aspettando, rimanendo ad osservare. È così che io percepisco gli “spioni” delle mie storie su wa, sperando ogni volta di sbagliarmi e che in realtà ci sia dell’amore non dichiarato nei miei confronti, condito da una curiosità costante e certosina verso le fonti di ispirazione che ritrovano nei miei scatti gioiosi. Sì, sì…certamente…

È da quando non ho più bisogno di conferme che piacere agli altri ha smesso di essere una mia priorità, eppure tenere conto della misura della forbice tra quello che ho deciso di essere o diventare e gli standard ritenuti normali da una società  mi aiuta a stabilire l’entità di tutta la fatica necessaria ad ammettere che tutto quello che ci allontana da noi stessi non può essere definito normale, desiderabile, obbligatorio per tutti. E così tanto meglio sentirsi quella “strana” piuttosto che far pace col disagio perenne di chi si adegua per non essere additata. Meglio confessare allegramente di non avere mai sognato marito e figli piuttosto che averne avuti e sentire il peso di una condivisione mai davvero ricercata, degli affetti forzati, delle delusioni non calcolate. Eh, dice che non lo si può davvero sapere come sarebbe andata se avessi abbracciato il sacro mondo di una vita dove la norma contiene la verità del trend tradizionale. Sarebbe andata che mi sarei pentita, perché ognuno di noi sa nel profondo del proprio cuore a che patti è intenzionato scendere e a quali giammai.

È agosto, non fa troppo caldo, non è ancora il mio compleanno, colleghə maldicenti si mettono a guardare le mie stories invece di pensare soltanto alla loro di estate. Io un po’ ci godo. E un po’ penso alla statistica, alla media, alla varianza. E a tutti quelli che fanno del loro meglio. Sotto gli occhi di chiunque

lunedì 14 luglio 2025

Conservarsi. In luogo fresco

 Non mi riesce mai. Quando decido di sbrinare il frigo ogni volta devo fare i conti con quelle due o tre cose che non posso tirare fuori altrimenti vanno a male. E allora mi tocca aspettare e rimandare il mio progetto di vuoto incontaminato da riempire con cose diverse, nuove, fresche. Che pare niente e invece per me il frigo pulito è una specie di piccola epifania, una ripartenza sana, fatta di ingredienti nuovi con cui sperimentare ricette legate alla stagione e alla nuova filosofia alimentare che si accorda con la nuova te che hai deciso di diventare.

Mi capita tutte le volte che tento di azzerare uno spazio di transito in cui attingo alle mie possibilità domestiche, anche con la dispensa tutte le scatole a lunga conservazione con cui fisso i miei bisogni e le mie piccole voglie. Quello però lo considero un progetto di più lungo termine, proprio come le scadenze che portano sopra. Nella dispensa c’è quello che ho deciso di essere quando mi auguro di non cambiare idea, quando ho chiara la mia missione prima di abbracciare un progetto nuovo. Nel frigo invece ci sono le scelte veloci come lo yogurt, sempre rigorosamente bianco, le uova, i pomodorini pachino, l’insalata in busta. Una volta ci tenevo pure un sacco di piatti pronti, prima che sposassi la causa della lotta ai cibi processati: troppo buoni e troppo comodi per essere pure giusti e sani. Stavolta in frigo sono rimasti soltanto mezzo barattolo di conservalatte d’avena, una confezione di pesto fresco e una di formaggio fresco a fette. Mi basterebbero un paio di giorni per finire tutto.

Ma non avevo considerato il congelatore. Il vero vincolo è lui. Lì dentro ci metto cose che durano fin quando il freddo decide di volerle proteggere. Non le si può tirar fuori senza poi consumarle immediatamente. E liberarsi di quelle non è così automatico: ci sono le porzioni destinate ai pranzi in ufficio per l’intera settimana, le fette di cheese cake che vuoi portarti giù per farle assaggiare a quegli assopiti senza troppo spirito di iniziativa che ti hanno generato, ci sono le foglie di basilico mummificate fresche da mettere sulla pizza quando avrai un po’ di tempo per farne una come si deve, ci sono gli avanzi delle sere precedenti, quando ad un certo punto hai preferito virare per un frullato proteico relegando il rustico ripieno ai momenti più difficili. 

, il congelatore è una storia a parte e parecchio più complicata da gestire, ma tanto lo sapevo che alla fine mi tocca sempre aspettare, anche le piccole rivoluzioni dal basso, quelle svolte un po’ metaforiche che avrebbero un valore proprio nell’isteria del gesto che le innesca, io le devo attendere come la reunion degli Oasis. E in questo struggimento mi concedo il lusso di avere un pretesto valido per continuare ad attingere alle mie vecchie abitudini, ai miei schemi sempre uguali che, mi illudo, mi proteggano dagli imprevisti e, nei fatti, mi escludono soltanto dalle sorprese. In quel congelatore ci sta un tupperware gigante che trabocca di sensi di colpa mai risolti, di paura di intaccare le riserve di coraggio mai tolto dal suo sottovuoto, c’è l’istinto alla conservazione di merce già scaduta da tempo e che hai preferito non consumare. 

Tra qualche giorno dovrò tornare dai miei. Fino ad allora i pranzi per il lavoro saranno tutti consumati. Il resto diventerà bagaglio senza ritorno. Quel giorno il frigo sarà vuoto, sbrinato e pulito. Senza di me. Poi si vedrà


lunedì 30 giugno 2025

Dopo quante metà si arriva ad una buona meta?


 Ci risiamo. Rientrata a Milano assieme a tutta una estate torrida da superare. Però stavolta mi sento pronta. Sono pronta ad accogliere le novità che mi sono creata da sola senza l’aggiunta di sorprese non richieste, pronta a darmi tutto il tempo per immaginare almeno un altro viaggio bello prima della fine dell’anno.

La metà di quest’anno è arrivata alla velocità di una luce che non ho ancora neppure intravisto: se dovessi fare uno dei miei soliti bilanci fittizi delle fasi intermedie direi che è successo di tutto solo per farmi ripartire dal via. Una specie di “ritenta sarai più fortunata” che ho voluto leggere in chiave positiva e propositiva, come per dirmi datti l’occasione di fare scelte più ponderate, esercita la pazienza, lascia sedimentare tutte le ipotesi grazie ad una attesa fruttuosa. Cosa vorrà dire mai tutto questo posso saperlo solo io visto che le cose che non sono ancora accadute non vanno neppure raccontate. Al massimo evocate e poi sarà quel che sarà.

Sono rientrata in una casa che avevo lasciato pulita e in ordine. C’era una bella luce e le lenzuola profumavano di quell’additivo fresco a forma di perline che mi aiuta a non pensare che per tutto l’inverno uso lo stendino in casa perché non saprei dove tenere un’asciugatrice. Che poi è lo stesso piccolo inganno che uso quando faccio la cheese cake con la ricotta perché il mascarpone è troppo pesante. Non vale, ma sono piccoli auto-inganni abbastanza accettabili. Quante volte lo faccio? Di pensare ad una cosa nella sua versione più impeccabile possibile e ripiegare sulla stessa ma in modalità modesta? A volte mi pare di analizzare quei bilanci intermedi di cui sopra sapendo sin da subito che sono “truccati”, che le voci dell’attivo e quelle del passivo siano tali secondo un criterio contabile che ho deciso soltanto io.  

Sono qui da 16 anni. A volte mi pare un’eternità, altre mi pare ieri. Quante persone assurde ho conosciuto? Quante davvero significative per la mia crescita? E da quanto ho smesso in modo così significativo di credere che ce ne siano ad attendermi delle altre con cui condividere frammenti inesplorati di realtà e dintorni. Molti sono dimenticati da così tanto tempo che mi chiedo se con loro abbia perso per sempre anche la me di allora, altri mi ricordano dove non tornare mai più. Mi chiedo perché quella volta in palestra un distinto signore di mezza età, regolarmente sposato, abbia trovato normale chiedermi di passare ore, giorni, mesi assieme, a parlare su una panchina o nella sauna, o per mezzo tragitto in comune verso casa, delle nostre reciproche ossessioni, come se fosse un fatto normale tra due semisconosciuti. O quando io per altri ho pensato cose e invece erano altro, o quando non pensavo niente ma chissà perché era una colpa pure questa. Quanti sono 16 anni nel posto in cui non sei nata e ti senti ancora una turista? Quante volte ho ristrutturato questa piccola casa cercando di farla somigliare il più possibile a me? Come si computano queste cose nel bilancio intermedio di una vita nella quale starmene per conto mio mi sembrava comunque la scelta più azzeccata pure quando mi sono sforzata del contrario? 

Alla fine i bilanci sono una ”rappresentazione veritiera e corretta” e, se le parole hanno un senso, è diverso dal dire che sono la verità. Mi faccio bastare l’idea che oltre ai fatti ci siano le sensazioni, le aspettative, proiezioni sul futuro a dettare la linea dei progetti futuri. Pare che le aziende veramente solide puntino tutto su questa roba qui. E io anche

Un anno (a) folle

 La cosa bella degli anni che ho deciso di battezzare come “di passaggio” da una fase che - sempre io - ho deciso che si è conclusa e un’alt...