martedì 19 agosto 2025

E tu cosa usi per le superfici?

 

Con lui non ti puoi distrarre. E’ subdolo perché lavora in silenzio, fa ostruzionismo anche quando non ti ricordi che  ci condividi elementi delicati di spazio comune. Eppure poche cose restituiscono il conto della noncuranza distratta come quella specie di fantasma immateriale che vince proprio nell’istante in cui si manifesta. Il calcare fa così, ti illude di non essere un problema fino a quando non lo vedi e farai più fatica a liberartene, ammesso di riuscirci.
Tantissimi anni fa, durante una trasmissione radiofonica che trattava temi di cuore (uh, quanto ero giovane per dedicarmi ancora a certe cose) il conduttore ad un certo punto paragonava la qualità dei rapporti al tipo di cura che si riserva al calcare: puoi impedire che ostruisca il libero flusso dell’acqua di cui esso stesso è composto solo quando ancora non ci sono insidie, quando pulisci le impurità giorno dopo giorno con la stessa ossessione di chi adotta precauzioni contro pericoli che preferisce scongiurare piuttosto che affrontare. Per me la doccia con i buchini ostruiti è un grande classico a cui non sono mai sfuggita, così come il lavabo pulito ma opaco, le goccioline random sul vetro della doccia. Tutte le volte lo stesso senso di sconfitta per una battaglia che dimentico ogni volta di combattere.
E’ così che pare funzionino pure i rapporti: ad un certo punto perdono luce e quel piano inizialmente scintillante e levigato su cui scivolava un quotidiano che si confrontava soltanto con superfici lisce e intonse ad un tratto mostra il suo lato opaco, degli attriti prima inesistenti, aloni di incomprensione (solo apparentemente) provenienti dal nulla e del tutto inattesi. È così che pare prendano il sopravvento il soave esercizio di volontaria incoscienza degli abissi oscuri dell’incomprensione reciproca, il lavoro subdolo, tacito e apparentemente invisibile di una disattenzione, di un vivere di rendita con la luce abbagliante di legami che implorano una cura speciale proprio quando funzionano meglio.
Non l’ho mai scordato quel bel paragone in frequenze medie di un sacco di anni fa, quando ancora non vivevo per conto mio e manco mi ero mai posta il problema, poi diventato mia principale ossessione domestica, di combattere il calcare con ogni arma chimica o naturale possibile. Confesso che a volte l’ho lasciato fare, ormai forte dei miei strumenti potenti per combatterlo, per poi poter vivere la gloria del rinnovato splendore proprio quando tutto sembrava perduto: si diventa meno intransigenti quando si è sicuri dei propri metodi di soluzione. Chissà se nel frattempo hanno inventato prodotti altrettanto portentosi e dai rapidi risultati pure per far brillare le relazioni opache o almeno preservarle dall’appannamento futuro. E se sì, quanto costano? E chi le compra? E quanto durano?


lunedì 11 agosto 2025

Le cose che avrei voluto sapere di sapere già

 


Ci sono cose che avrei voluto sapere molto prima. Ma proprio prima prima. Tipo dopo il diploma, prima dei vent’anni, prima degli occhioni lucidi e quell’espressione da Labrador lasciato ad aspettare fuori dal supermercato, quando le aspettative e la fiducia negli altri avevano trovato parcheggio in zona vietata. Per chi come me si ritrova spesso a ripensare ai propri traumi giovanili e ancora prova ad elaborarli è veramente consolatorio darsi dei consigli postumi per demolire almeno un poco la portata di quell’inutile fardello che ancora ci si porta dentro come una scatola degli orrori che batte ancora colpi dall’interno. Che poi non che mi sia mai successo chissà che eppure a volte lo sento prepotente il senso frustrante di una consapevolezza troppo tardiva.

Ripenso alla paura che avevo di certi prof di liceo che rivisti dopo il diploma mi hanno restituito il senso della loro piccolezza e dell’infimo cinismo di un ruolo non ben gestito. Avrei voluto sapere per tempo che la scelta del proprio futuro non va assolutamente delegata a nessuno e se al momento non si sa cosa fare va bene anche darsi un tempo di riflessione di cui non dover rendere conto a nessuno. Avrei voluto sapere per tempo che essere innamorati è bello ma che sarebbe stato infinitamente meglio non esserlo mai e che troppo tempo, pensieri e concentrazione ho riservato a cose che sono passate senza lasciare alcuna traccia. È brutto dirlo ma io lo volevo sapere prima che per l’amore non ho mai avuto alcuna attitudine e ostinarmi a pensarla diversamente credo mi abbia fatto fare tali e tante sciocchezze che mi chiedo cosa mi sia persa di bello e di buono se avessi pensato ad altro. 

Che poi in realtà le cose che avrei voluto sapere prima sono che:

Il salmone, se non è quello selvaggio, non fa bene manco per idea

Che anche dopo due anni di yoga la sola posizione che mi piace è lo savasana. E basta

Sorridere e cercare di compiacere continuamente gli altri si rivelerà essere una fatica titanica, dissociante, frustrante e alla fine completamente inutile. Chi ti vuole bene lo fa a prescindere da quanto ti spertichi oppure no

Viaggiare da sola non ha paragoni con niente al mondo. Tutte le volte che avrai provato in altri modi a volte è andata benino, altre meno, altre ma proprio no. Il viaggio vero è da sola, con tutti gli imprevisti e l’assoluta libertà di un’esperienza folle e unica

Lynch un giorno mi avrebbe completamente cambiato la percezione delle cose. Si trattava solo di farmelo spiegare come si deve. Perché se non te lo spiegano ti illudi soltanto di averlo capito

Avrei venduto tutto l’oro dalla prima comunione ad oggi. Che bello non avere roba che hai sempre paura che ti venga derubata e che ad un certo punto ha raggiunto quotazioni altissime

Avrei pianto per tre giorni di seguito per qualcuno e poi mai più per nessuno. Mai più 

Non mi sarei mai pentita di non aver mai voluto dei figli, pure se mi hanno sempre detto che prima o poi sarebbe successo. Non è successo. Perché se davvero i figli non li vuoi, allora non li vorrai mai. Mai

Un buon cappuccino e un’ora di cammino risolvono. Non so come. Ma ci riescono 


In fondo non sono tante le cose che avrei voluto sapere prima. Eppure ho come l’impressione che una diversa tempistica nella consapevolezza avrebbe fatto tutta la differenza nella mia vita. E adesso?





lunedì 4 agosto 2025

Perché guardarmi se io non ti sento?


 Quando decido di fare stories su fb o su wa c’è solo un motivo: sapere chi e perché si prende la briga di andare a vedere i fatti miei. Perché pure quando succede di capitarci giusto per caso magari mentre stava sbirciando altro, di fatto, se mi ritrovo sempre le stesse persone a passare da me alla fine sono interessate a sapere proprio i fatti miei. Non lo dico io, lo dice la statistica, le visualizzazioni, la pervicacia delle solite presenze sul mio profilo. E non temo di essere smentita. Lo considero in verità pure un fatto bello perché quando le persone che passano mi vogliono bene mi ricordano che le connessioni sono fatte di materiale variabile, sono frammentarie,  discontinue e che pure pensarsi per pochi secondi è un modo per tenersi assieme e vicini, sapere che condividiamo lo stesso cielo e che possiamo persino dircelo guardandoci per un attimo durante le 24 ore senza “sfruculiarci” a parole in ogni momento.

Quello che invece mi pare meno ovvio è il perché mi tengano d’occhio pure le persone (di solito colleghə) con cui manco mi saluto quando ci incrociamo dal vivo. Mi chiedo perché decidano di dover sapere quando e quanto mi sono allenata, quanto faccio la cianciosa con un vestitino nuovo, come mi piace far vedere angoli belli della mia mansarda…cioè tutte cose che non dovrebbero riguardare proprio mai chi non mi considera. Di loro io so giusto il fatto che non mi amano, che non hanno mai avuto parole buone per me, che alcune leggono pure il mio blog e lo portano in giro per diffondere odio per dire quanto sono meritevole dell’inferno…

Mi stimola questa curiosità morbosa, il pedinamento capriccioso giusto per sapere per tempo se e quando fallirò , o quando finalmente sarò meno in forma (almeno di loro), quando mi capiterà una disgrazia su cui fregarsi le mani e dire “finalmente ha avuto quel che merita”. A me certe forme gratuite di cattiveria dietro le quinte divertono sempre parecchio perché mi raccontano molto della vigliaccheria che spesso si nasconde dietro certe forme meschine di odio e di mancanza di pace interiore. Ha a che fare con il livore immotivato verso chi non corrisponde alla nostra personalissima visione del mondo e non avendo alcun diritto di farcelo sapere ci augura il male per vie traverse, aspettando, rimanendo ad osservare. È così che io percepisco gli “spioni” delle mie storie su wa, sperando ogni volta di sbagliarmi e che in realtà ci sia dell’amore non dichiarato nei miei confronti, condito da una curiosità costante e certosina verso le fonti di ispirazione che ritrovano nei miei scatti gioiosi. Sì, sì…certamente…

È da quando non ho più bisogno di conferme che piacere agli altri ha smesso di essere una mia priorità, eppure tenere conto della misura della forbice tra quello che ho deciso di essere o diventare e gli standard ritenuti normali da una società  mi aiuta a stabilire l’entità di tutta la fatica necessaria ad ammettere che tutto quello che ci allontana da noi stessi non può essere definito normale, desiderabile, obbligatorio per tutti. E così tanto meglio sentirsi quella “strana” piuttosto che far pace col disagio perenne di chi si adegua per non essere additata. Meglio confessare allegramente di non avere mai sognato marito e figli piuttosto che averne avuti e sentire il peso di una condivisione mai davvero ricercata, degli affetti forzati, delle delusioni non calcolate. Eh, dice che non lo si può davvero sapere come sarebbe andata se avessi abbracciato il sacro mondo di una vita dove la norma contiene la verità del trend tradizionale. Sarebbe andata che mi sarei pentita, perché ognuno di noi sa nel profondo del proprio cuore a che patti è intenzionato scendere e a quali giammai.

È agosto, non fa troppo caldo, non è ancora il mio compleanno, colleghə maldicenti si mettono a guardare le mie stories invece di pensare soltanto alla loro di estate. Io un po’ ci godo. E un po’ penso alla statistica, alla media, alla varianza. E a tutti quelli che fanno del loro meglio. Sotto gli occhi di chiunque

lunedì 14 luglio 2025

Conservarsi. In luogo fresco

 Non mi riesce mai. Quando decido di sbrinare il frigo ogni volta devo fare i conti con quelle due o tre cose che non posso tirare fuori altrimenti vanno a male. E allora mi tocca aspettare e rimandare il mio progetto di vuoto incontaminato da riempire con cose diverse, nuove, fresche. Che pare niente e invece per me il frigo pulito è una specie di piccola epifania, una ripartenza sana, fatta di ingredienti nuovi con cui sperimentare ricette legate alla stagione e alla nuova filosofia alimentare che si accorda con la nuova te che hai deciso di diventare.

Mi capita tutte le volte che tento di azzerare uno spazio di transito in cui attingo alle mie possibilità domestiche, anche con la dispensa tutte le scatole a lunga conservazione con cui fisso i miei bisogni e le mie piccole voglie. Quello però lo considero un progetto di più lungo termine, proprio come le scadenze che portano sopra. Nella dispensa c’è quello che ho deciso di essere quando mi auguro di non cambiare idea, quando ho chiara la mia missione prima di abbracciare un progetto nuovo. Nel frigo invece ci sono le scelte veloci come lo yogurt, sempre rigorosamente bianco, le uova, i pomodorini pachino, l’insalata in busta. Una volta ci tenevo pure un sacco di piatti pronti, prima che sposassi la causa della lotta ai cibi processati: troppo buoni e troppo comodi per essere pure giusti e sani. Stavolta in frigo sono rimasti soltanto mezzo barattolo di conservalatte d’avena, una confezione di pesto fresco e una di formaggio fresco a fette. Mi basterebbero un paio di giorni per finire tutto.

Ma non avevo considerato il congelatore. Il vero vincolo è lui. Lì dentro ci metto cose che durano fin quando il freddo decide di volerle proteggere. Non le si può tirar fuori senza poi consumarle immediatamente. E liberarsi di quelle non è così automatico: ci sono le porzioni destinate ai pranzi in ufficio per l’intera settimana, le fette di cheese cake che vuoi portarti giù per farle assaggiare a quegli assopiti senza troppo spirito di iniziativa che ti hanno generato, ci sono le foglie di basilico mummificate fresche da mettere sulla pizza quando avrai un po’ di tempo per farne una come si deve, ci sono gli avanzi delle sere precedenti, quando ad un certo punto hai preferito virare per un frullato proteico relegando il rustico ripieno ai momenti più difficili. 

, il congelatore è una storia a parte e parecchio più complicata da gestire, ma tanto lo sapevo che alla fine mi tocca sempre aspettare, anche le piccole rivoluzioni dal basso, quelle svolte un po’ metaforiche che avrebbero un valore proprio nell’isteria del gesto che le innesca, io le devo attendere come la reunion degli Oasis. E in questo struggimento mi concedo il lusso di avere un pretesto valido per continuare ad attingere alle mie vecchie abitudini, ai miei schemi sempre uguali che, mi illudo, mi proteggano dagli imprevisti e, nei fatti, mi escludono soltanto dalle sorprese. In quel congelatore ci sta un tupperware gigante che trabocca di sensi di colpa mai risolti, di paura di intaccare le riserve di coraggio mai tolto dal suo sottovuoto, c’è l’istinto alla conservazione di merce già scaduta da tempo e che hai preferito non consumare. 

Tra qualche giorno dovrò tornare dai miei. Fino ad allora i pranzi per il lavoro saranno tutti consumati. Il resto diventerà bagaglio senza ritorno. Quel giorno il frigo sarà vuoto, sbrinato e pulito. Senza di me. Poi si vedrà


lunedì 30 giugno 2025

Dopo quante metà si arriva ad una buona meta?


 Ci risiamo. Rientrata a Milano assieme a tutta una estate torrida da superare. Però stavolta mi sento pronta. Sono pronta ad accogliere le novità che mi sono creata da sola senza l’aggiunta di sorprese non richieste, pronta a darmi tutto il tempo per immaginare almeno un altro viaggio bello prima della fine dell’anno.

La metà di quest’anno è arrivata alla velocità di una luce che non ho ancora neppure intravisto: se dovessi fare uno dei miei soliti bilanci fittizi delle fasi intermedie direi che è successo di tutto solo per farmi ripartire dal via. Una specie di “ritenta sarai più fortunata” che ho voluto leggere in chiave positiva e propositiva, come per dirmi datti l’occasione di fare scelte più ponderate, esercita la pazienza, lascia sedimentare tutte le ipotesi grazie ad una attesa fruttuosa. Cosa vorrà dire mai tutto questo posso saperlo solo io visto che le cose che non sono ancora accadute non vanno neppure raccontate. Al massimo evocate e poi sarà quel che sarà.

Sono rientrata in una casa che avevo lasciato pulita e in ordine. C’era una bella luce e le lenzuola profumavano di quell’additivo fresco a forma di perline che mi aiuta a non pensare che per tutto l’inverno uso lo stendino in casa perché non saprei dove tenere un’asciugatrice. Che poi è lo stesso piccolo inganno che uso quando faccio la cheese cake con la ricotta perché il mascarpone è troppo pesante. Non vale, ma sono piccoli auto-inganni abbastanza accettabili. Quante volte lo faccio? Di pensare ad una cosa nella sua versione più impeccabile possibile e ripiegare sulla stessa ma in modalità modesta? A volte mi pare di analizzare quei bilanci intermedi di cui sopra sapendo sin da subito che sono “truccati”, che le voci dell’attivo e quelle del passivo siano tali secondo un criterio contabile che ho deciso soltanto io.  

Sono qui da 16 anni. A volte mi pare un’eternità, altre mi pare ieri. Quante persone assurde ho conosciuto? Quante davvero significative per la mia crescita? E da quanto ho smesso in modo così significativo di credere che ce ne siano ad attendermi delle altre con cui condividere frammenti inesplorati di realtà e dintorni. Molti sono dimenticati da così tanto tempo che mi chiedo se con loro abbia perso per sempre anche la me di allora, altri mi ricordano dove non tornare mai più. Mi chiedo perché quella volta in palestra un distinto signore di mezza età, regolarmente sposato, abbia trovato normale chiedermi di passare ore, giorni, mesi assieme, a parlare su una panchina o nella sauna, o per mezzo tragitto in comune verso casa, delle nostre reciproche ossessioni, come se fosse un fatto normale tra due semisconosciuti. O quando io per altri ho pensato cose e invece erano altro, o quando non pensavo niente ma chissà perché era una colpa pure questa. Quanti sono 16 anni nel posto in cui non sei nata e ti senti ancora una turista? Quante volte ho ristrutturato questa piccola casa cercando di farla somigliare il più possibile a me? Come si computano queste cose nel bilancio intermedio di una vita nella quale starmene per conto mio mi sembrava comunque la scelta più azzeccata pure quando mi sono sforzata del contrario? 

Alla fine i bilanci sono una ”rappresentazione veritiera e corretta” e, se le parole hanno un senso, è diverso dal dire che sono la verità. Mi faccio bastare l’idea che oltre ai fatti ci siano le sensazioni, le aspettative, proiezioni sul futuro a dettare la linea dei progetti futuri. Pare che le aziende veramente solide puntino tutto su questa roba qui. E io anche

lunedì 23 giugno 2025

Dove ero rimasta?

 Alla fine mi sono arresa alla prepotenza di Facebook. Esattamente dopo 10 anni di post normalmente condivisi sono ad un tratto diventata una perversa distributrice di immagini non conformi all’etica social. Perché la tavola di un fumetto di Manara dove due si stanno baciando dentro una valigia in effetti potrebbe turbare diverse anime. Pazienza. Non ho scritto per giorni perché nel frattempo ho provato ad interpretare i cambiamenti come dei suggerimenti da assecondare. E così sono partita dal diario: un nuovo titolo che mi aiutasse a mettere luce su tutto il torbido che le ondate di novità portano con sé quando non erano previste e neppure se ne erano create le premesse. In realtà di quello che è successo nella mia piccola e in fondo irrilevante esistenza credo sia in fondo una fonte imprevista di ispirazione. La verità è che il reale gigantesco guaio è il totale caos mondiale nel quale dimorano i miei personalissimi e insignificanti problemi, che pare niente e in realtà vanifica di senso gran parte degli entusiasmi e della motivazione ad andare avanti. E così, mentre fb mi ha messo restrizioni a pensieri e parole, provo a mettere insieme questi ultimi giorni di riposo in montagna, di sessioni di yoga, di caldo insopportabile, di ritorno qui giù a casa dove le cose mi sembrano sempre più difficili e indecifrabili. 

Spero che in questo nuovo diario manchino solo tutte le motivazioni iniziali che mi avevano spinto a creare quello precedente: problemi di cuore, senso di inadeguatezza in una città che ho fatto fatica ad interpretare secondo i miei parametri di allora, goffaggini e ingenuità  di cui vorrei dimenticare tutto. Eppure non butto via niente perché scrivere di quella roba lì mi ha aiutato davvero. La presa di coscienza vale ogni sofferenza, capire senza illudersi credendo a realtà mai esistite ha un valore impagabile. E poi in fondo mi è piaciuto raccontare un po’ i fatti miei e scoprire che sono possibili delle connessioni anche così.

In questo momento ho un micio di meno di un mese appollaiato sulle gambe. Ha paura delle altezze e mi pare molto bisognoso di contatto. Scrivere con lui che mi mordicchia il braccio e reclama attenzioni è una sensazione stupenda. Dovrei portarlo con me a Milano ma temo che per quello che mi aspetta nei prossimi mesi sia meglio aspettare un po’. Cosa accadrà nei prossimi mesi? Non vedo l’ora di poterlo raccontare pure a me stessa. Ci sono pagine tutte nuove da riempire. Vorrei che fossero diverse da quelle di questi precedenti 48 anni. Quale migliore occasione di un diario nuovo di pacca?

E tu? Hai pensato mai di cambiare diario per provare a cercare la maniera di scrivere una storia diversa?

Io ci (ri) provo

E tu cosa usi per le superfici?

  Con lui non ti puoi distrarre. E’ subdolo perché lavora in silenzio, fa ostruzionismo anche quando non ti ricordi che  ci condividi elemen...